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Colline decide di impegnare la sua zimarra al Monte di pietà per raggranellare qualche soldo e procurare un minimo di conforto a Mimì morente.
Prima di uscire, Colline si rivolge al suo compagno di vita: quella zimarra nelle cui larghe tasche hanno trovato posto i suoi libri di filosofo. Il filosofo fa del monte di pietà un luogo metaforico, mediante l'aggettivo «sacro» e il verbo «ascendere», rispetto al «piano» che spetta ai comuni mortali. Egli rimarca la dignità del suo oggetto che si va ad identificare con la propria essenza di bohemien, intellettuale libero nella sua povertà, che non si è mai piegato «ai ricchi ed ai potenti». Disfandosi del suo pastrano, Colline annuncia che - con la prossima fine di Mimì - anche la stagione della gioventù spensierata è giunta alla fine.
Puccini e i suoi poeti affidarono queste considerazioni ad un personaggio che fino a questo momento è stato spettatore, spesso disincantato, della vicenda: il filosofo capace di ironizzare di fronte alle avventure e disavventure sentimentali, in apparenza del tutto indifferente al fascino del gentil sesso.
La musica [modifica]
La romanza si svolge in tempo binario, "allegretto moderato e triste" (semiminima = 63), nella tonalità di Do diesis minore. La partitura prescrive di interpretare il brano "con commozione crescente". Il semplicissimo accompagnamento accordale è affidato al pizzicato degli archi e dell'arpa e allo staccato di fagotti e clarinetto, mentre al flauto nel registro grave tocca raddoppiare parte della melodia del basso.
I cinque accordi conclusivi dell'orchestra (condotte sullo stesso basso delle prime battute) sono ripresi alla fine dell'opera, nella medesima tonalità.
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Vecchia zimarra, senti,
io resto al pian, tu ascendere
il sacro monte or devi.
Le mie grazie ricevi.
Mai non curvasti il logoro
dorso ai ricchi ed ai potenti.
Passâr nelle tue tasche
come in antri tranquilli
filosofi e poeti.
Ora che i giorni lieti
fuggîr, ti dico: addio,
fedele amico mio.
Addio, addio.