Salomè
Salomè è un dipinto a olio su tela (90x72 cm) di Tiziano, databile al 1515 circa e conservato nella Galleria Doria Pamphilj di Roma.
L'opera fece parte delle raccolte del principe Salviati, di Cristina di Svezia e del principe Odescalchi prima di entrare, nel 1794, nella Galleria Doria. Già attribuita al Pordenone e a Giorgione, venne riferita a Tiziano dal Morelli, seguito poi da quasi tutta la critica.
Numerose copie sono esistenti, tra cui una, con varianti, già nella collezione Benson di Londra, forse pure autografa.
Descrizione e stile
In una stanza scura, rischiarata da un arco che si apre su un cielo limpido e sormontato da un amorino scolpito, Salomè tiene su un vassoio la testa del Battista, assistita da un giovane inserviente. Per nulla inorriditi, i due protagonisti mettono in scena una placida scena biblica, in cui spicca soprattutto la bellezza ideale della donna. Essa, col volto ovale alla Leonardo, filtrato però da Giorgione e i tonalisti, ha le fattezze di tante donne di Tiziano in opere dell'epoca, dalla Flora degli Uffizi alla santa Caterina della Sacra conversazione Balbi, dalla Violante alla Donna allo specchio, dalla Vanità di Vienna fino alle figure femminili dell'Amor Sacro e Amor Profano.
Alcuni hanno ipotizzato che potesse trattarsi dell'amante dell'artista, altri che fosse la figlia di Palma il Vecchio, Violante.
Bibliografia
Francesco Valcanover, L'opera completa di Tiziano, Rizzoli, Milano 1969.
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http://www.doriapamphilj.it/salome.asp - scheda museo
In questo precoce capolavoro, Tiziano ha rappresentato Salomè accompagnata da un'ancella, con il vassoio nel quale secondo il testo evangelico Salomè consegnò il capo di Giovanni ad Erodiade.
La capigliatura rossa ricade languidamente scomposta sulla spalla, come conviene alla figliastra di Erode, nota per le sue qualità di danzatrice, e lo sguardo sognante e quasi interrogativo che non sembra addirsi all'eroina volitiva e impavida Giuditta, con la quale alcuni autori hanno identificato la figura femminile del dipinto.
Il gruppo iconografico della testa mozzata sul piatto, come messo in luce da un altro celebre scritto di Panofsky (Studies in Iconology, 1939), trascrive letteralmente la vicenda biblica della morte del Battista.
Così in Germania e in Italia Settentrionale si diffuse un'intima associazione iconografica tra i temi di Giuditta e Salomè, tale da creare un'immagine autonoma a carattere iconico e devozionale.
La scena si accende per opera del rosso infuocato del manto della fanciulla, rivelando il vero temperamento tizianesco, che emoziona lo spettatore con gli accostamenti cromatici e il vibrante impianto tonale.
L'opera, già segnalata alla fine dell'Ottocento nel catalogo di Pordenone (Cavalcaselle, 1878) e poi di Giorgione (Justi, 1908) è uno splendido esemplare giovanile di Tiziano, come intuito per primo da Morelli (1892), proposta poi unanimamente accolta.
Nonostante la comprovata autografia, l'opera presenta però più di un problema critico, a partire dalla sua provenienza per arrivare al soggetto illustrato, tematiche peraltro connesse tra loro. Infatti, secondo quanto riportato dal catalogo fidecommissario di Sestieri (1942), la tela, una "Erodiade", sarebbe entrata a far parte della Galleria Doria Pamphilj soltanto dal 1794, dopo essere appartenuta al principe Salviati, alla regina Cristina di Svezia e al principe Odescalchi.
Tale "iter" è stato in seguito smentito da Wethey (1969; cfr. anche Della Pergola, 1960), il quale identifica la "Salomè" Doria con una "Erodiade" documentata nel 1592 presso la collezione di Lucrezia d'Este, finita poi al cardinale Pietro Aldobrandini e quindi passata alla nipote Olimpia Aldobrandini, principessa di Rossano e moglie di Camillo Pamphilj, poi al loro figlio Giovan Battista, destinatario dei beni della famiglia Aldobrandini in linea materna.
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