Giotto di Bondone, forse diminutivo di Ambrogio o Angiolo di Bondone, conosciuto semplicemente come Giotto (Vespignano, 1267 – Firenze, 8 gennaio 1337). Morì l'8 gennaio del 1337 (il Villani riporta la data della morte avvenuta alla fine del 1336 secondo il calendario fiorentino) e venne sepolto in Santa Reparata con una cerimonia solenne a spese del Comune.
Giotto di Bondone nacque nel luglio del 1267 da una famiglia di contadini che, come molte altre, si era inurbata a Firenze e, secondo la tradizione letteraria, finora non confermata dai documenti, aveva affidato il figlio alla bottega di un pittore, Cenni di Pepi, detto Cimabue, iscritto alla potente Arte della Lana, che abitava nella parrocchia di Santa Maria Novella. Dovrebbe essere solo una leggenda l'aneddoto della "scoperta" del giovane pittore da parte di Cimabue, mentre disegnava con estremo realismo le pecore a cui badava, riportata da Lorenzo Ghiberti e da Giorgio Vasari. Si narra che durante un lavoro su un quadro Giotto fece uno scherzo a Cimabue e dipinse sulla tavola una mosca, essa era così realistica che Cimabue tornato a lavorare sulla tavola cercò di scacciarla dalla tela. A quel punto Cimabue gli disse che aveva superato se stesso e poteva aprire bottega anche da solo.
Sul fatto che Cimabue sia stato maestro di Giotto ci sono solo indizi di tipo stilistico: la collaborazione nella bottega del maestro fiorentino avrebbe però consentito a Giotto di seguirlo a Roma nel 1280 circa, dove era presente anche Arnolfo di Cambio, e avrebbe potuto successivamente introdurlo nel cantiere di Assisi.
Giotto si sposò verso il 1287 con Ciuta (Ricevuta) di Lapo del Pela, dalla quale ebbe quattro figlie e quattro figli, dei quali uno, Francesco, divenne pittore.
L'importanza artistica
Giotto divenne già in vita un artista simbolo, un vero e proprio mito culturale, detentore di una considerazione che non mutò, anzi crebbe nei secoli successivi.
Giovanni Villani scrisse: "Il più sovrano maestro stato in dipintura che si trovasse al suo tempo, e quegli che più trasse ogni figura e atti al naturale."
Per Cennino Cennini: "Rimutò l'arte di greco in latino e ridusse al moderno" alludendo al superamento degli schemi bizantini e all'apertura verso una rappresentazione che introduceva il senso dello spazio, del volume e del colore anticipando i valori dell'età dell'Umanesimo.
L'esperienza di apprendistato presso Cimabue fu, senz'altro, di stimolo per il giovane pittore, in quanto Cimabue all'epoca era un artista innovativo e dal linguaggio assolutamente moderno, che si liberava dai moduli bizantineggianti, evolvendo verso una pittura che assimilava l'arte classica, ricercando, contemporaneamente, effetti realistici ed espressivi.
Lavorò in molte città: Roma, Firenze, Padova, Assisi, Bologna, Milano.