« Credette Cimabue nella pittura
tener lo campo, ed ora ha Giotto il grido,
si che la fama di colui è scura »
(Dante Alighieri, Purgatorio XI, 94-96)
Cimabue, pseudonimo di Cenni di Pepi (Firenze, 1240 circa – Pisa, 1302), è stato un pittore italiano.
Si hanno notizie di lui dal 1272. Dante lo citò come il maggiore della generazione antecedente a quella di Giotto, parallelamente al poeta Guido Guinizelli e al miniatore Oderisi da Gubbio. Secondo il Ghiberti e il Libro di Antonio Billi fu al contempo maestro e scopritore di Giotto. Il Vasari lo indicò come il primo pittore che si discostò dalla "scabrosa goffa e ordinaria [...] maniera greca", ritrovando il principio del disegno verosimile "alla latina".
Studi recenti hanno dimostrato come in realtà il rinnovamento operato da Cimabue non fosse poi assolutamente isolato nel contesto europeo, poiché la stessa pittura bizantina mostrava dei segni di evoluzione verso una maggiore resa dei volumi ed un migliore dialogo con l'osservatore. Per esempio negli affreschi del monastero di Sopoćani, datati 1265, si notano figure ormai senza contorno dove le sfumature finissime evidenziano la rotondità volumetrica. A Cimabue spetta però un passo fondamentale nella transizione da figure ieratiche e idealizzate (di tradizione bizantino) verso veri soggetti, dotati di umanità ed emozioni, che saranno alla base della scuola di pittura italiana e occidentale.
Le notizie certe, ossia suffragate da documenti, sulla vita di Cimabue sono molto esigue: presente a Roma nel 1272; incaricato di realizzare un cartone per il mosaico del catino absidale del Duomo di Pisa nel 1301; morto a Pisa nel 1302. Da queste pochissime informazioni i critici e gli storici dell'arte hanno ricostruito, non senza controversie e incertezze, il catalogo delle opere.
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Il Crocifisso - Chiesa di San Domenico di Arezzo
In questa opera Cimabue si orientò verso le recenti rappresentazioni della crocefissione con il Christus patiens dipinte verso il 1250 da Giunta Pisano, ma aggiornò l'iconografia arcuando ancora maggiormente il corpo del Cristo, che ormai debordava occupando tutta la fascia alla sinistra della croce. Sempre ai modelli di Giunta rimandano le due figure nei tabelloni ai lati dei braccio della croce (Maria e San Giovanni raffigurati a mezzo busto in posizione di compianto) e lo stile asciutto, quasi "calligrafico" della resa anatomica del corpo del Cristo.
La somiglianza con il modello giuntesco si spiega anche con un'esplicita richiesta dei domenicani aretini, essendo il crocifisso di Giunta conservato nella chiesa principale dell'ordine, la basilica di San Domenico a Bologna.
Un'altra novità rispetto al modello fu l'uso delle striature d'oro nel panneggio che copre il corpo di Cristo o nelle vesti dei due dolenti ("agemina"), un motivo introdotto, pare, da Coppo di Marcovaldo e derivato dalle icone bizantine.
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Crocifisso di Santa Croce - Basilica di Santa Croce a Firenze
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Storia e Stile http://it.wikipedia.org/wiki/Crocifisso_di_Santa_Croce
La croce sagomata e dipinta viene attribuita a poco dopo il viaggio a Roma dell'artista del 1272 e segna un nuovo traguardo rispetto al precedente Crocifisso di San Domenico a Arezzo. È attribuito al 1280 circa ed è alto 3,90 metri.
La Croce venne semidistrutta durante l'alluvione di Firenze del 1966, venendo travolta dalle acque, che staccarono irrimediabilmente gran parte della superficie dipinta. Nonostante ciò restano le fotografie a testimoniare lo straordinario valore dell'opera.
Il Cristo è ancora inclinato dolorosamente nella posa patetica del Christus patiens, però il corpo è ancora più longilineo e sinuoso. I due pannelli laterali, come già nell'opera anteriore, non contengono figurazioni ma uno sfondo che ricorda un drappeggio, anche perché quello di sinistra è interamente occupato dal corpo di Cristo. In cima ai bracci sono dipinti la Vergine e San Giovanni a mezzobusto. La cimasa reca il cartiglio "INRI", mentre il soppedaneo (in basso) non è decorato.
Lo stile pittorico, rispetto all'opera aretina, è molto migliorato, tanto da suggerire che sia stato eseguito un decennio dopo: la resa pittorica delicatamente sfumata a rappresentare una rivoluzione, con un naturalismo commovente (forse ispirato anche alle opere di Nicola Pisano) e privo di quelle dure pennellate grafiche che si riscontrano nel crocifisso aretino. La luce adesso è calcolata e modella con il chiaroscuro un volume realistico: i chiari colori dell'addome, girato verso l'ipotetica fonte di luce, non sono gli stessi del costato e delle spalle, sapientemente rappresentati come illuminati con un angolo di luce diverso. Le ombre, appena accennate su pieghe profonde come quelle dei gomiti, sono più scure nei solchi tra la testa e la spalla, sul fianco, tra le gambe.
Un vero esempio di virtuosismo è poi la resa del morbido panneggio, delicatamente trasparente e dalla consistenza setosa.